Su e giù per il Giappone

12-26/08/2017

Andata: Milano – Tokyo Narita – Tokyo Haneda – Sapporo New Chitose
Ritorno: Tokyo – Milano
Voli intercontinentali con Alitalia, nazionali con JAL.
JRP da 14 gg.

12/08/2017: PARMA – MILANO – TOKYO – SAPPORO
14/08/2017: SAPPORO – OTARU – SAPPORO
15/08/2017: SAPPORO – NOBORIBETSU ONSEN
16/08/2017: NOBORIBETSU – HAKODATE
17/08/2017: HAKODATE – LAKE ONUMA – HAKODATE
18/08/2017: HAKODATE – MATSUSHIMA KAIGAN
19/08/2017: MATSUSHIMA KAIGAN – NIKKO – TOKYO
20/08/2017: TOKYO
21/08/2017: TOKYO – MATSUMOTO
22/08/2017: MATSUMOTO – MAGOME – TSUMAGO
23/08/2017: TSUMAGO – INUYAMA-YUEN
24/08/2017: INUYAMA-YUEN – KYOTO – TOKYO
25/08/2017: TOKYO
26/08/2017: TOKYO – MILANO – PARMA

E anche nel 2017 la banda Bassotti decide di tornare in Giappone.
L’idea è quella di un viaggetto soft e low cost, ma come al solito il soft è finito nel Mar del Giappone prima ancora del decollo e il low cost si è suicidato prima che finissimo le prenotazioni.
Non siamo spendaccioni, ma le comodità ci piacciono e in vacanza qualche piccolo extra ci sta.
Il gruppo è composto dai soliti membri della squadra: la mia amica M., mio fratello D. e la sottoscritta.
Per me è il sesto viaggio e per gli altri il secondo o il terzo almeno, quindi tante cose le abbiamo già viste.
Le regole sono semplici: ciascuno dichiara quello che vuole assolutamente vedere o ri-vedere e poi si organizza il viaggio secondo i nostri desideri.
E quindi anche stavolta abbiamo fatto il periplo del Giappone.

Le prenotazioni le abbiamo fatte tardissimo causa lavoro e il volo a Ferragosto ci è costato parecchio, però siamo riusciti a prendere il diretto da Milano e a inserire anche il volo per Sapporo senza supplementi e nello stesso giorno e in qualche modo abbiamo limitato i danni.
Il JRP lo abbiamo preso per due settimane.

Il primo giorno e mezzo se n’è andato tutto di viaggio, ovviamente.
Il programma prevede l’arrivo a Sapporo in serata, con cena a Susukino e salita sul monte Moiwa, ma si capisce subito che la stagione butta male e ripieghiamo sull’Izakaya di fronte all’hotel (Sunroute Hotel).
Il secondo giorno affrontiamo a piedi la visita di Sapporo (il palazzo del Governo, la Torre dell’orologio, il parco di Odori e il parco Nakajima).

Sapporo è davvero carina, con una sua personalità, sicuramente più a misura d’uomo rispetto alle città del sud. L’abbiamo fatta tutta a piedi, senza mezzi pubblici, respirando e vivendo la città.
A pranzo andiamo al Sapporo Beer Garden a mangiare il Gengis Khan e a bere la birra locale (M.& D., per me litri di succo di mela, mai più trovato così buono!).
Nel primo pomeriggio prendiamo il trenino locale e andiamo a Otaru.
La cittadina è bellissima, peccato per il diluvio universale delle 17… ma almeno ci rifacciamo con la gita in barca tra i canali al tramonto, imperdibile.
Il programma notturno prevede di mangiare a Otaru e trascorrere la serata passeggiando, ma il tempo inclemente ci convince a ripiegare e rientriamo a Sapporo per salire sull’osservatorio “JR Tower Observatory T38”, al 38° piano della stazione di Sapporo. Davvero una bella vista e – soprattutto – al coperto.
Per la cena… pane, formaggio e ramen del 7/11. Totale 4 € in 3.
Il terzo giorno (15/08) partiamo di buon’ora per Noboribetsu con solo gli zainetti al seguito, perché il bagaglio vero e proprio viaggia per Hakodate per conto suo.
Lungo il percorso ci fermiamo a vistare il Villaggio Ainu Porotokotan sulle rive del lago Poroto e assistiamo a diverse performances di arti tradizionali e di abilità artigianali.
Così come in barca a Otaru siamo gli unici occidentali e per molti visitatori “locali” siamo più interessanti noi degli Ainu.
Il villaggio è piccolo, ma molto carino e ci si fa un’idea più chiara di come vivessero gli antichi abitanti di Hokkaido (di etnia e tradizioni ben diverse dai “giapponesi” del sud) e dell’integrazione forzata che hanno subito.
Subito dopo un pranzo in perfetto stile Ainu ripartiamo alla volta della famosa Noboribetsu Onsen.
Noboribetsu Onsen è una cittadina di poco più di 50.000 abitanti ed è praticamente sinonimo di onsen.
Tutta la zona subisce le influenze geotermiche del vulcano Toya e la città si è sviluppata attorno a una vera e propria solfatara, chiamata Jigokudani… la Valle dell’Inferno.
Il parco è davvero bellissimo e la passeggiata per la vallata entusiasmante, anche se rischiamo di spezzarci le caviglie almeno tre volte e ci infanghiamo fino alle orecchie.
Dopo aver visto la zona del Jigokudani e le altre attrazioni della città, al tramonto torniamo in albergo per goderci il meritato riposo alle bellissime terme dell’hotel (e rimpinzarci al buffet dell’albergo…).
Pernottamento: Noboribetsu Grand Hotel (Japanese style).
Rinfrancati dalla bella giornata a Noboribetsu il 16/08 siamo ripartiamo di buon’ora per
Hakodate.
Anche la nostra fantozziana nuvoletta si è riposata per 24 ore e si ripresenta puntuale appena saliamo in treno.
Non sto a raccontare le scene di noi depressissimi e dei giapponesi che ci dicono perplessi, quasi a scusarsi, che un’estate così piovosa a Hokkaido non si vede da decenni.
Ma noi non ci arrendiamo solo per un po’ di umidità, ci vuole ben altro.
Appena arrivati in città corriamo a mangiare in un localino che sembra uscito dritto dritto da una brochure degli anni ’70, dove mangiamo benissimo e spendiamo solo una manciata di spiccioli.
Nel pomeriggio ci incontriamo con Mr. Hiro, guida volontaria parlante inglese.
Insieme a lui visitiamo i posti più importanti della città: Goryokaku Park e la Goryokaku Tower, per poi finire la giornata al Capo Tachimachi, spazzato dal vento e dalla pioggia (che novità!).
Il Capo merita sicuramente una visita, ma anche la strada che si percorre a piedi per arrivarci (e si snoda in mezzo a un cimitero) è molto interessante.
Visto il tempo ancora incerto e nebbioso decidiamo di posticipare la salita sul Monte Hakodate. Torniamo a piedi in albergo attraversando Motomachi al tramonto e a cena – sotto un diluvio – finiamo in un ristorante di sushi incantevole e incredibile, con pochissimi posti a sedere e gestito da una coppia di ottantenni.
I due vecchietti durante la preparazione del cibo sembrano samurai, poi ci guardano meglio e alla fine non si trattengono e ridono apertamente di noi e delle nostre facce mentre mangiamo cose mai viste né conosciute. Una serata a dir poco inconsueta, ma che ci ha trasmesso tante emozioni.
Hotel: Hakodate Motomachi Hotel (stile occidentale, ma con onsen).

Tanto per cambiare, anche il 17/08 parte con tempo umido, ma noi corriamo subito a visitare l’Hakodate Asaichi (mercato mattutino), dove facciamo colazione con polipo e granchio alla griglia e altre leccornie.
Nel pomeriggio tentiamo un’escursione all’Onuma-koen (a 20 minuti di treno da Hakodate) con rientro ad Hakodate in serata.
Il parco è noto per i laghi Onuma e Konuma ed il vulcano Komagatake che si dovrebbe vedere in lontananza.
Il vulcano è coperto dalla nostra nuvoletta maledetta, ma il parco è lo stesso uno spettacolo e ci accontentiamo di girarlo a piedi (io volevo a tutti i costi noleggiare il pedalò a forma di cigno, ma era già chiuso, non mi riprenderò mai dalla delusione).
Alla sera, dato che non avremo altre occasioni, saliamo in funivia sul Monte Hakodate, speranzosi che le nuvole e la nebbia spariscano magicamente per un quarto d’ora. Ovviamente così non accade, per cui mangiamo e compriamo souvenirs per consolarci e torniamo a Motomachi a scattare un po’ di foto by night.
Almeno non piove.
L’highlight culinario della serata è il dolce a forma di Hakodate City che ci hanno servito al ristorante.
Il 18/08 lasciamo Hokkaido all’alba e torniamo sul “continente”, come dicono loro.
I bagagli sono già partiti per Tokyo il giorno prima e noi viaggiamo ancora una volta leggeri.
A mezzogiorno arriviamo a Hon-Shiogama e ci imbarchiamo per una breve crociera che ci porterà a Matsushima Kaigan costeggiando le più belle isole della baia.
Matsushima è il nome dato a un gruppo di 260 isole ricoperte di pini nella baia omonima. La leggenda narra che il poeta Basho, attraversando Matsushima, non riuscì a comporre neanche un verso poiché non trovava le parole per descrivere la bellezza del luogo.
La panoramica della costa di Matsushima è considerata una delle tre più belle del Giappone.
Ancora niente sole, ma non piove e la luce nella baia è magnifica.
I pini sono un po’ rovinati dagli agenti atmosferici, dai gabbiani e – ovviamente – dallo tsunami del 2011, ma la vista è davvero magnifica (e pagherei miliardi per vederla col sole).
Alle ore 14, nella hall del nostro hotel (Matsushima Onsen Hotel Daimatsuso – anche qui con bagno termale e stanza alla giapponese) incontriamo un’altra guida volontaria parlante inglese, Mrs Mayumi Kikuchi.
Con lei visitamo il Tempio Zuigan-ji, uno dei più grandi templi zen del Tohoku e il Godaido, che è costruito su un’isola di pini accessibile a piedi grazie a due piccoli ponti. L’isola è spesso rappresentata come il simbolo di Matsushima.
Nel frattempo, il cielo minaccia tempesta e saggiamente facciamo una sosta anche alla casa da tè Kanrantei, in attesa che la nostra nuvoletta smetta di cercare annegarci.
Appena spiove corriamo a visitare l’isoletta di Oshima, una vera sorpresa. Una foresta in miniatura con dei piccoli templi sparsi qua e là. Un’esperienza bellissima. E tanto, tanto fango.
La nostra guida è così fiera del fatto che siamo sopravvissuti indenni al tour che invece di accettare il rimborso spese richiesto dall’associazione cui appartiene ci fa lei un regalo. Ci sentiamo fieri come se ci avesse dato una medaglia.
Sopravvissuti – più o meno – alle nostre avventure, decidiamo di concederci una cena lussuosa.
Stasera vogliamo carne, tanta, calda e alla griglia e quella avremo.
Usciamo nella città ormai deserta (fino alle 17 c’erano decine di negozietti aperti e turisti ovunque, alle 18:30 scopriamo di essere gli unici rimasti a girare per la città) e ci affidiamo al naso.
Troviamo un posticino che ci sembra perfetto, il primo kanji sull’insegna dice “carne”, il secondo “mucca” e il terzo non lo capisco, ma pensiamo che sia il nome del locale.
Ok, avrei dovuto studiare più kanji. Il terzo kanji vuol dire “lingua”.
Nel ristorante servono solo e unicamente lingua bovina in tutte le salse e tutte le forme. D. e M. si lanciano estasiati sulla versione alla griglia. Io, che sono noiosa e odio la lingua, ripiego sul menu bimbi e chiedo la pizza. Indovinate cosa c’era tritato e in umido nella passata di pomodoro? No comment, ma si ride tutta sera.

Il 19/08 ci alziamo presto di nuovo e partiamo alla volta di Tokyo, ma lungo la strada facciamo una deviazione per Nikko, dove sono già stata una volta tanti anni fa (con tempo pessimo).
Alla stazione di cambio, Utsunomiya, ci troviamo con Mr. “H” Ishikawa, la nostra terza guida volontaria parlante inglese. Ci accompagna a mangiare i rinomati “gyoza” locali (che buoni!!!!) e poi ci accompagna a Nikko, per un tour di tre ore del vasto complesso del santuario Toshogu.
La nostra fedele nuvoletta ci accompagna anche a Nikko.
Nikko è sempre stupenda, ma quanta gente e quanta acqua! Se la prima volta ho visto Nikko sotto l’acqua, stavolta ci mancavano solo Noè e l’arca.
Il Toshogu è stato appena ristrutturato e per fortuna la guida riesce a portarci nei posti più pittoreschi e un po’ meno affollati.
Nel tardo pomeriggio riprendiamo il nostro viaggio verso Tokyo.
Facciamo check-in al Sunroute “Stellar” Ueno e corriamo a mangiare una bella bistecca all’Hard Rock Cafè alla stazione di fronte.
Il 20/08 umidità al 110%, ma non piove più e già ci sembra un sogno.
Al mattino ci godiamo con calma il parco di Ueno e il Nezu-Jinja con i suoi Torii rossi.
Al pomeriggio esploriamo a fondo (= ci perdiamo) Yanaka-Ginza e poi ce ne andiamo a Harajuku per un po’ di shopping.
La serata la concludiamo degnamente all’Oedo Onsen Monogatari a Odaiba, a mollo nelle vasche termali, con i pesciolini che ci mordono i piedi. Prima di uscire mangiamo fino a scoppiare all’Izakaya.
La serata è la più cara di tutto il viaggio, ma ne vale la pena.
Il 21/08 molliamo i bagagli a Tokyo e – udite udite! – col sole ci portiamo a Matsumoto.
Per fortuna, anche qui riusciamo ad avere una guida volontaria che ci mostra le meraviglie del castello.
È uno scambio culturale sempre interessante e scopriamo che le varie guide fanno un a gara per vedere chi riesce a conquistare il diritto di accompagnare i turisti più “esotici”; sembra che gli italiani siano ancora una preda ambita!
Ci innamoriamo delle stradine della città e del castello e nel pomeriggio piantiamo le tende al parco e ci riposiamo attendendo il tramonto.
Ceniamo in un pub scozzese gestito da ragazzi giapponesi e concludiamo la serata al karaoke. Risultati scarsi, ma si ride sempre.
Pernottamento: Tokyu Rei Hotel
Il 22/08 la stagione tiene e partiamo subito per Nakatsugawa e da lì prendiamo l’autobus per Magome, dove lasciamo i nostri zaini al Tourist office.
Esploriamo la cittadina e ci rifocilliamo.
Controlliamo la cartina e la pendenza della strada e teniamo concilio di guerra… saliamo a piedi al passo o autobus?
Decidiamo all’unanimità per il bus che ci porta fino al Magome-Toge, la sommità del passo che divide Magome da Tsumago. I puristi fanno tutto a piedi, ma viste le nostre condizioni fisiche non proprio atletiche, decidiamo di non infierire su noi stessi e di affrontare solo la lunga passeggiata di 5 km in discesa che collega Magome a Tsumago.
La passeggiata in mezzo al bosco è bellissima e non incontriamo quasi nessuno. Neanche un orso, ma forse è solo perché siamo armati dei feroci campanelli che secondo i locali tengono lontani gli animali con il loro tintinnio. Mah.
Però nel dubbio ne compriamo uno da portare a casa.
A metà del percorso, mentre ormai ci superano anche i novantenni, ci fermiamo al punto di ristoro storico a prendere il te a e chiacchierare un po’ con il volontario che gestisce la vecchia stazione di posta. Un’altra bella esperienza.
Nel tardo pomeriggio arriviamo finalmente a Tsumago, facciamo check-in e visitiamo il paesino (dove tutto sembra essersi fermato ai tempi dello Shogunato).
Vorremmo fermarci lì per sempre, ma le nuvole scure che si addensano all’orizzonte non promettono nulla di buono e così rientriamo, arrancando, di corsa in hotel, appena in tempo per evitare un nuovo diluvio che continua per buona parte della notte.
Pernottamento e cena: Minshuku Hanaya Tsumago.

Il 23/08 si parte con calma e nel primo pomeriggio arriviamo a Inuyama.
La città di Inuyama è nota per il suo splendido castello, che risale al 1537 ed è la più antica fortezza originale del Giappone ancora esistente. Costruita su quattro piani si affaccia sul fiume Kiso ed è classificato come tesoro nazionale.
Il castello è in cima ad una collinetta e ci si arriva percorrendo una ripida salita, che è nulla in confronto alle scale (praticamente a pioli!) che ci sono all’interno.
La vista dall’ultimo piano, però, ci ripaga appieno della sfacchinata.
Anche qui abbiamo avuto la fortuna di avere una guida locale. Non l’avevamo richiesta o prenotata, ma i volontari erano all’ingresso e ci hanno subito catturato.
Torniamo in riva al fiume, mangiamo qualche snack in una friggitoria senza pretese e ci prepariamo a una delle highlights del nostro viaggio: un’esibizione di pesca tradizionale al cormorano sul fiume, dove un pescatore – indossando un mantello tradizionale di paglia – maneggia 12 cormorani legati con una fune.
Siamo gli unici occidentali sulla barca e, dalle reazioni della guida, penso che siano anche i primi che vedono da un po’, perché ci annunciano con il microfono e ci fanno anche l’applauso.
L’escursione, chiaramente per turisti, è comunque splendida e ci dona tante emozioni e il nostro tempo sul fiume vola via in un attimo.
L’escursione finisce alle 9 di sera che – per gli standard locali – è notte fonda, per cui torniamo al nostro ryokan, il Shunjuan Hasshokaku Ryokan Mizunowo.
Questo è stato il pernottamento che ci è costato di più in termini economici, ma ci tornerei anche subito.
L’hotel è proprio in riva al fiume e la vista del castello sull’altra riva è mozzafiato. Inoltre, ci sono i bagli termali riservati, sia la vasca interna che una vasca all’aperto, proprio accanto al fiume. Nonostante il ryokan sia pieno, vista l’ora tarda le vasche termali sono tutte per noi e ce le godiamo fino in fondo, perché domani si torna a Tokyo per le ultime due notti e l’ofuro/onsen ce lo scordiamo.
Il 24/08 si dovrebbe appunto tornare a Tokyo, ma decidiamo di prenderla un po’ alla lontana e passare per Kyoto.
Anche il tempo si è un po’ stabilizzato e pare che per un po’ non siano previste piogge.
A Kyoto abbiamo prenotato da tempo una guida e con il suo aiuto affrontiamo quello che temevamo diventasse un tour de force, ma che poi siamo riusciti a fare con calma.
Iniziamo la visita con il tour di Arashiyama, per poi proseguire con il Fushimi Inari e Gion al tramonto.
La nostra paura era che Arashiyama e l’Inari fossero troppo affollati, ma alla fine non c’era troppa gente e abbiamo visto tutto quel che volevamo.
Prima di prendere l’ultimo Shinkansen per Tokyo concludiamo la serata con una cena Kaiseki al ristorante Wakuden (70 € a persona), con vista sulla stazione di Kyoto e sulla città.

Il 25/08 è l’ultimo giorno e lo dividiamo equamente tra shopping e cultura.
Di primissima mattina (prima delle 6!) io vado ad assistere agli allenamenti dei lottatori di Sumo, a Ryôgoku, mentre gli altri dormono fino alle 9.
Anche questa escursione si rivela davvero stimolante e mi spiace che D. e M. se la siano persa per dormire un paio d’ore in più.
In tarda mattinata, dopo una breve sosta all’Heidi Shop sempre a Ryôgoku (sì proprio quella del cartone animato), ci riuniamo per visitare il museo Edo Tokyo.
Mangiamo in un Pepper Lunch sotto le arcate della stazione di Ryôgoku e poi corriamo a fare shopping nell’enorme centro commerciale sotto alla stazione centrale di Tokyo.
Stanchi e con il portafoglio vuoto recuperiamo le nostre borse con gli acquisti dal coin locker della stazione e saliamo sullo Sky Tree.
Dopo aver scattato 1000 foto, ci rendiamo conto che la giornata volge al termine e – nostro malgrado – scendiamo e andiamo a mangiare in uno dei tanti ristoranti della zona.
Il 26/08 è il triste giorno del rientro.
Ci mangiamo un ultimo onigiri e alle 9 prendiamo il Keisei Skyliner per Narita.
Anche per quest’anno è finita, ma è solo un arrivederci.

Autore e foto

Erika Passerini