La religione in Giappone: Buddhismo e Shintoismo

Chiedere ad un giapponese a che religione appartenga, è la classica domanda che potrebbe mettere in crisi la vostra amicizia. Al contrario di quanto avviene nella maggior parte del mondo, infatti, non solo l’ateismo è infatti largamente maggioritario tra tutte le fasce della popolazione, ma non esiste quella che si possa definire una religione ufficiale. Per i giapponesi la religione è un fatto assolutamente privato ed appartenente alla sfera personale dell’individuo, e non deve in nessun modo interferire nella sfera pubblica, o causare un qualsiasi turbamento nella vita delle persone.
Coloro che sono credenti, in genere sono legati allo shinbutsu shūgō (神仏習合 “sincretismo di kami e Buddha”). Quest’ultima non è, come da noi, un insieme di dottrine da seguire, ma piuttosto un insieme di credenze da cui attingere, appunto seguendo la propria storia ed inclinazione personale.

Fushimi Inari – Kyoto

Nasce nei primi secoli dopo Cristo, quando i primi monaci buddhisti sbarcano in Giappone, e incontrano una buona accoglienza soprattutto tra i samurai, affascinati dalla ferrea disciplina dei monaci stessi. Questo felice matrimonio avrà fortune alterne fino a pochi decenni fa, quando il Giappone adotta definitivamente la libertà religiosa nella sua costituzione. Da quel momento, nello shinbutsu shūgō entreranno anche forti influenze da altre religioni, soprattutto animiste e cristiane.
Le due religioni principali convivono particolarmente bene data la loro complementarietà, tanto che non è affatto difficile trovare case, od addirittura templi, con altari dedicati ad entrambe le confessioni. Con un po’ di fortuna, potreste trovare addirittura delle piccole cappelle cristiane, o stanze dedicate alla preghiera musulmana, se doveste averne bisogno.
Visto che la religione è solo un fattore “indicativo” per i giapponesi, la differenza principale tra le due religioni riguarda la sfera che attribuiscono loro nel Sol Levante: lo shintoismo, con i suoi kami (spiriti della natura) cura la sfera privata dell’individuo ed il suo interagire con il mondo. Il buddhismo tende ad essere invece la religione del vivere in comunità ed influenza molto il comportamento delle persone. Entrambe sono comunque viste come già detto come un fatto privato. Farsi il segno della croce o portare ostentatamente simboli religiosi è visto estremamente male dagli abitanti del Sol Levante. È invece perfettamente normale vedere gente anche di un certo livello portare ninnoli e talismani. I giapponesi infatti vivono il loro rapporto con la divinità come un atto volontario, un do ut des per ottenere un vantaggio immediato. Non è visto come interesse personale, ma un semplice scambio di favori tra l’uomo ed il kami od il Buddha. Un talismano “neutro” non è visto come un simbolo religioso, ma piuttosto la prova dell’accordo tra la persona ed i vari spiriti. Se ogni giapponese, anche non credente, frequenta spesso questi santuari, non lo fa però a cuor leggero. Il forte senso del dovere dei giapponesi e la loro poca fiducia nella natura volubile degli spiriti, rende ognuno di questi patti un obbligo a cui ottemperare, ma di cui non si può mai essere sicuri al cento per cento. Le cose cambiano un poco quando ci si rifà alle figure di rilievo ereditate da altre religioni. Cristo e Maometto sono accettati nella cultura giapponese, ma vengono considerati degli esempi da seguire, piuttosto che delle figure ultraumane. Ciò vale anche per l’Imperatore, che in Giappone è considerato discendente diretto di Amaterasu (il kami del sole), il cui compleanno si può considerare l’unica vera festa religiosa del paese. Vi sono molte altre feste (come il nostro Natale), ma sono viste come momenti da vivere in comunità, senz’altro valore che quello dell’ozio (il Natale stesso è appunto visto come una festa per innamorati, tipo il nostro San Valentino). Un discorso leggermente differente vale per il Capodanno, in cui i giapponesi sciamano
ai vari templi per rinnovare i patti con gli spiriti e pregare gli antenati che veglino su di loro nel momento del rinnovo.

Tempio Sensoji – Tokyo

Un’ultima cosa di cui dovete assolutamente tenere in conto una volta in Giappone, è come la religione sia anche vista come totalmente subalterna allo stato. Dovendo quindi arrangiarsi per il proprio sostentamento, è perfettamente normale per i templi giapponesi agire come vere e proprie aziende, con tanto di brand e merchandising. Non bisogna però pensarlo come una commercializzazione del sentimento religioso, ma come una semplice necessità. Pagare i talismani ed i servizi del tempio non è visto differentemente dall’andare in un qualsiasi negozio per fare shopping. Discorso a parte meritano i molti santoni che imperversano nel paese, che, pure non essendo distruttivi come quelli a cui siamo abituati in Italia, sono comunque dei piccoli truffatori, che approfittano della superstizione della gente.

Principali Santuari Shintoisti:

Fushimi Inari Taisha, sempre a Kyoto, caratterizzato dalle migliaia di portali rosso acceso.
Grande Santuario di Ise.
Grande Santuario di Sumiyoshi, Osaka.
Santuario Meiji Jingu, Shibuya Tokyo.
Santuario di Itsukushima, Miyajima, famoso per il suo gigantesco Torii (portale) sull’acqua.
Santuario Toshugu, a Nikko, costruito per onorare il primo Shogun Tokugawa.
Kotohira Gu, nello Shikoku, uno dei complessi religiosi più vasti, ma anche più difficili da raggiungere del Giappone.

Principali Templi Buddhisti:

Sensoji, Tokyo, probabilmente il tempio buddista più antico del Giappone.
Rinno Sanbutsudo, il Tempio della Montagna a Nikko, famoso per la cerimonia del riso.
Kotoku-in, Kanagawa, contenente una statua del Budda particolarmente cara ai seguaci di questa religione.
Kaikozan Jishoin Hase-dera, Kanagawa, complesso di templi dedicati al Dio della Misericordia.
Myoryuji, il Tempio Ninja ad Ishikawa, così chiamato perchè all’occorrenza poteva trasformarsi in una fortezza piena di trabocchetti e passaggi segreti.
Kiyomizu Dera, Kyoto, famoso per il balcone dal quale tempo addietro i monaci si suicidavano per lasciare spazio alla nuova generazione.

Autore

Michele Anoardi